27 gennaio 2017

I Classici di Ross! (Rubrica)

In questo giorno speciale in cui ricorre la Giornata della Memoria inauguriamo una nuova rubrica: I Classici di Ross!, sarà una rubrica che verrà pubblicata a settime alterne e, come si intuisce dal titolo, in essa potrete leggere recensioni dedicate agli immortali ed intramontabili Classici e, visto il giorno di inizio Ross non poteva non parlarvi do un libro PER NON DIMENTICARE.

«Per lei, che, con William Faulkner, crede che “il passato non è mai morto, anzi non è neppure passato”, la memoria non è un dovere, ma una necessità, un bisogno, qualcosa di indispensabile per poter giudicare.»
 Sabina Loriga, “Diario del Mese” gennaio 2003

Un libro scomodo che pone domande che non avremmo mai voluto porci e che dà risposte che non hanno la rassicurante certezza dei ragionamenti manichei. Un libro che per questo provocò, al suo comparire, nel 1963, accese discussioni e pesanti critiche all'autrice.

Otto Adolf Eichmann, figlio di Karl Adolf e di Maria Schefferling, catturato in un sobborgo di Buenos Aires la sera dell'11 maggio 1960, trasportato in Israele nove giorni dopo e tradotto dinanzi al Tribunale distrettuale di Gerusalemme l'11 aprile 1961, doveva rispondere di 15 imputazioni. Aveva commesso, in concorso con altri, crimini contro il popolo ebraico e numerosi crimini di guerra sotto il regime nazista. L'autrice assiste al dibattimento in aula e negli articoli scritti per il "New Yorker", sviscera i problemi morali, politici e giuridici che stanno dietro il caso Eichmann. Il Male che Eichmann incarna appare nella Arendt "banale", e perciò tanto più terribile, perché i suoi servitori sono grigi burocrati.

Il Pensiero di Ross!

Nonostante lo abbia già posizionato in libreria, è ancora persistente nella mia mente, ha lasciato un segno maggiormente profondo rispetto agli altri. La Banalità del Male scritto dalla filosofa tedesca Hannah Arendt, allieva di Heidegger, emigrata in Francia per sfuggire al nazismo nel 1933. Partecipa nel 1961 alle 120 sedute del processo Eichmann (il famigerato criminale nazista) come inviata del settimanale New Yorker a Gerusalemme. 
Otto Adolf Eichmann (nato nel 1906), era stato responsabile della sezione IV-B-4: si occupava di coordinare e organizzare i mezzi di trasporto per i “trasferimenti” degli ebrei verso i campi di concentramento. La Arendt racconta il corso del processo ponendosi delle domande, sviscerando i problemi morali, politici e giuridici che stanno dietro al caso Eichmann, ne nasce così un libro scomodo. Il Male che l’imputato incarna, appare all’autrice “banale”, e perciò tanto più terribile: “Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, nè demoniaco, nè mostruoso”. Eichmann era un uomo comune, caratterizzato dalla sua superficialità e mediocrità, in cui la Arendt scorge qualcosa di completamente negativo: l’incapacità di pensare, condizione necessaria per causare grande male. I nazisti non sono stati né sadici, né perversi, erano semplicemente uomini “normali”, il cui principale valore era la cieca obbedienza, con l’incapacità di pensare, di distinguere il bene dal male, di interrogarsi sul contenuto degli ordini ricevuti e delle regole da applicare incondizionatamente, privi di facoltà di giudizio.
Chi invece ha disobbedito agli ordini, non era dotato di valori profondi rispetto ad Eichmann ed i grandi nazisti, ma semplicemente aveva la capacità di interrogare se stesso “sarò in grado di convivere con me stesso, dopo aver svolto queste azioni?”, la facoltà di pensiero porta inevitabilmente a porre sotto giudizio se stessi, è in questo che sta banalità del male, che non ha radici profonde.

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