15 ottobre 2012

Andrea Cremer - Nightshade


 Titolo: Nightshade
Autore: Andrea Cremer
Serie: Serie Nightshade, vol.1
Edito da: DeAgostini
Prezzo: 16,90 €
Genere: Adult/Young Fantasy, Paranormal Romance, Lycan
Pagine: 544 pag.

Trama

Tutte le diciassettenni sognano di incontrare il vero amore. Tutte tranne Calla Tor. Nella sua testa c’è un solo costante pensiero: squarciare la gola dei suoi nemici. Calla è la femmina Alfa di una delle più potenti famiglie di Guardiani che vivono in America, creature magiche capaci di trasformarsi in lupi, e responsabili della protezione dei luoghi sacri. Ma Calla, destinata al maschio Alfa del branco vicino, sceglierà una strada diversa, semplicemente salvando un escursionista, un ragazzo della sua stessa età ferito da un orso. Da quel momento niente sarà più come prima, perché Shay – l’irresistibile umano – custodisce un segreto che potrebbe cambiare le sorti del mondo e far vacillare il cuore saldo di Calla.

In Anteprima il 1° capitolo dell'libro
Non mi sono mai tirata indietro di fronte a una rissa, ma è nel pieno della battaglia che la mia passione per la lotta esplode incontenibile. Il ruggito dell’orso mi risuonò nelle orecchie e il suo fiato caldo mi inondò le narici, alimentando la brama di sangue. Il respiro affannato e disperato del ragazzo alle mie spalle m’indusse ad affondare gli artigli nel terreno. Ringhiai di nuovo contro l’imponente predatore, sfidandolo a oltrepassarmi. Che diavolo sto facendo? Arrischiai un’occhiata al ragazzo e il battito del mio cuore accelerò all’impazzata: con la mano destra si teneva premute le ferite sulla coscia, mentre il sangue gli sgorgava tra le dita imbrattando i jeans al punto da farli sembrare sporchi di vernice nera. La maglietta squarciata copriva a malapena le unghiate che gli deturpavano il torace. Un grugnito mi si formò in gola. Mi acquattai al suolo, i muscoli in tensione, pronta ad attaccare. Il grizzly si alzò sulle zampe posteriori, ma io mantenni salda la posizione. «Calla!» Il grido di Bryn mi rimbombò nella testa. Un lupo bruno sbucò agile dalla foresta e azzannò il fianco esposto dell’orso, che – con la bava alla bocca – si voltò e atterrò sulle quattro zampe alla ricerca dell’inatteso aggressore. Bryn, veloce come un fulmine e sempre in anticipo sull’orso, schivò l’attacco, evitando ogni colpo sferzato da quelle zampe grosse come tronchi, e – approfittando del vantaggio – inflisse un altro terribile morso alla bestia. Non appena il grizzly mi diede le spalle, balzai a mia volta in avanti e gli strappai un brandello di carne dal calcagno. L’orso si girò a guardarmi barcollando e facendo roteare gli occhi colmi di dolore. A quel punto, Bryn e io avanzammo guardinghe e lo circondammo. La vista del sangue aumentò la mia sete. Sentivo tutto il corpo in tensione. Insieme alla mia compagna, proseguii nella danza di accerchiamento, sotto lo sguardo circospetto e impaurito dell’orso. Emisi un breve ma deciso latrato e snudai le zanne. Il grizzly grugnì mentre si allontanava con passo malfermo e si inoltrava nella foresta. Sollevai il muso e ululai in segno di trionfo, ma un lamento mi riportò alla realtà: l’escursionista ci fissava con gli occhi spalancati. La curiosità m’indusse ad avvicinarmi. Avevo tradito i miei signori, infranto le loro leggi… e tutto per uno sconosciuto. Perché? Abbassai la testa e annusai l’aria. Il sangue dell’escursionista scorreva sulla sua pelle inzuppando il sottobosco, e l’odore pungente, come di rame, mi annebbiava la mente. Dovetti trattenermi dalla tentazione di assaggiarlo. «Calla?» Il tono allarmato di Bryn mi fece distogliere lo sguardo dal ragazzo che giaceva a terra. «Vattene!» ordinai al lupo più piccolo mostrandogli i denti affilati. Bryn si acquattò e mi si avvicinò strisciando sul ventre, poi sollevò il muso e mi leccò la parte inferiore della mascella. «Che intenzioni hai?» mi domandarono i suoi occhi blu. Bryn era terrorizzata. Pensava forse che avrei ucciso il ragazzo per puro divertimento? Fui sommersa dal senso di colpa e di vergogna. «Bryn, non puoi stare qui. Vai via. Ora.» Con un guaito sgattaiolò via, scomparendo all’ombra dei pini. Avanzai decisa verso l’escursionista, facendo guizzare le orecchie avanti e indietro. Il ragazzo faticava a respirare, sul viso aveva dipinti dolore e paura. Il sangue zampillava copioso dalle ferite sulla coscia e sul torace, dove il grizzly aveva affondato gli artigli, e io sapevo che non si sarebbe arrestato facilmente. Ringhiai scoraggiata dalla fragilità del corpo umano. Il ragazzo aveva probabilmente la mia età: diciassette, forse diciotto anni. Ciocche castane dai riflessi dorati gli ricadevano disordinate ai lati del volto e il sudore gli aveva appiccicato ciuffi di capelli sulla fronte e sulle guance. Aveva un fisico asciutto ma robusto, ideale per affrontare una montagna, come del resto doveva avere appena fatto, visto che quella parte di territorio era accessibile soltanto attraverso un sentiero ripido e tortuoso. Alle mie narici giungeva l’odore della paura che lo permeava e che stuzzicava il mio istinto di predatore, ma anche un aroma più debole: il profumo della primavera, delle gemme appena spuntate e della terra in disgelo. Un profumo colmo di speranza, di possibilità, delicato e invitante. Mossi un altro passo verso di lui. Ciò che volevo fare implicava una seconda più grave violazione delle leggi dei Custodi. Il ragazzo cercò di indietreggiare ma una fitta lo lasciò senza fiato, facendolo ricadere sui gomiti. Studiai il suo volto: la mascella perfettamente cesellata e gli zigomi alti si distorsero in un’espressione agonizzante. Anche mentre si contorceva per il dolore era bellissimo: i muscoli si tendevano e si rilassavano rivelando la sua forza fisica, e il corpo faceva di tutto per evitare il collasso imminente rendendo la sua tortura sublime. Ero consumata dal desiderio di aiutarlo. Non posso guardarlo morire. Mi trasformai prima ancora di rendermene conto. L’escursionista guardò attonito il lupo bianco assumere le sembianze di una ragazza dagli occhi dorati e i capelli biondo-platino. Lo raggiunsi e m’inginocchiai al suo fianco. Tutto il suo corpo fu scosso da un fremito. Feci per toccarlo ma esitai, sorpresa del mio stesso tremore: non avevo mai provato tanta paura prima di allora. Un rantolo mi riportò di colpo alla realtà. «Chi sei?» Il ragazzo mi scrutò. Aveva gli occhi del colore del muschio d’inverno, di una delicata sfumatura tra il verde e il grigio. Per un attimo mi lasciai catturare da quello sguardo, persa tra gli interrogativi che si facevano strada attraverso la sofferenza impressa nelle sue iridi. Sollevai il braccio e me lo portai alla bocca, quindi affondai i denti nella pelle morbida dell’incavo del gomito e attesi fino a quando non sentii il sapore del sangue sulla lingua. Poi gli porsi il braccio. «Bevi. È l’unica cosa che ti permetterà di sopravvivere.» La mia voce era bassa ma decisa. L’escursionista tremò violentemente e scosse la testa. «Devi assolutamente berlo» ringhiai mostrandogli i canini ancora affilati. Speravo che il ricordo di me sotto forma di lupo l’avrebbe indotto a sottomettersi, ma l’espressione sul suo volto non era di terrore. Al contrario, aveva gli occhi colmi di stupore. Sbattei le palpebre mentre cercavo di rimanere immobile. Il sangue mi colava lungo il braccio, cadendo in gocce scarlatte sul suolo ricoperto di foglie. Un’improvvisa fitta di dolore lo costrinse a serrare le palpebre e gli disegnò una terribile smorfia sul viso. In quel preciso momento, gli premetti l’avambraccio contro le labbra socchiuse e una scossa elettrica mi bruciò la pelle, propagandosi ovunque. Ricacciai indietro un sospiro, stupita e al tempo stesso sgomenta di fronte alle sensazioni sconosciute che si scatenavano dentro di me. L’escursionista si divincolò, ma io lo cinsi intorno alla schiena con l’altro braccio e lo tenni fermo mentre l’obbligavo a bere. Sentirlo così vicino mi fece ribollire il sangue nelle vene. Ero certa che se avesse potuto avrebbe opposto resistenza, ma non gli era rimasta alcuna forza. Un lieve sorriso m’increspò le labbra: anche se non ero in grado di impedire a me stessa di reagire in maniera così sconsiderata a quel contatto, perlomeno avevo il pieno controllo sul corpo del ragazzo. Un brivido mi corse lungo la schiena quando lui sollevò le braccia per afferrarmi, premendomi le dita contro la pelle. Il suo respiro si fece subito più leggero, lento e stabile. Le mani mi tremarono per il forte desiderio di accarezzarlo, di sfiorargli le ferite che si stavano rimarginando e delineare il contorno dei suoi muscoli. Mi morsi le labbra e resistetti alla tentazione. Avanti, Cal, puoi fare di meglio. Non è da te comportarti in questo modo. Quando liberai il braccio dalla sua presa, si lasciò scappare un mugolio di disappunto. Non sapevo come far fronte al senso di perdita che provavo ora che i nostri corpi non si toccavano più. Ritrova la tua forza, il lupo che è in te. E questo ciò che sei. Con un ringhio di avvertimento scossi la testa e strappai un lembo della sua maglietta per fasciarmi la ferita. Gli occhi color muschio seguivano ogni mio movimento. Mi rimisi in piedi con difficoltà e con mia grande sorpresa il ragazzo fece lo stesso, vacillando leggermente. Lo guardai storto e feci due passi indietro. Lui osservò la mia ritirata e poi i propri vestiti strappati. Toccò con circospezione i brandelli della maglietta, e quando sollevò gli occhi a incontrare i miei fui colta da un capogiro. Schiuse le labbra e non potei fare a meno di fissarle: erano piene, incurvate a mostrare interesse invece del panico che mi sarei aspettata. Troppe domande animavano il suo sguardo. Devo andarmene di qui. «Sopravviverai, ma vattene dalla montagna e non tornare mai più da queste parti» gli ordinai mentre mi allontanavo. Nel momento esatto in cui il ragazzo mi afferrò per una spalla, fui attraversata da un brivido. Sembrava incuriosito e per nulla impaurito, e quello non era certo un buon segno. Percepii un intenso calore percorrermi la pelle proprio nel punto in cui le sue dita mi stringevano. Indugiai a lungo sul suo viso per memorizzarne i lineamenti, prima di ringhiargli contro e liberarmi dalla presa. «Aspetta» disse avanzando verso di me. Se solo potessi farlo e cristallizzare la mia vita in questo preciso istante! Se solo potessi rubare un po’ di tempo e avere un assaggio di ciò che mi è sempre stato proibito! Sarebbe davvero così sbagliato? Non rivedrò mai più questo straniero. Quali amare conseguenze potrebbero scaturire se rimanessi? Se lui continuasse a stringermi e io scoprissi che desidera toccarmi nello stesso modo in cui io desidero toccare lui? Il suo odore mi confermò che avevo colto nel segno: oltre all’adrenalina e all’aroma muschiato percepivo il desiderio. Avevo lasciato che quell’incontro durasse troppo a lungo, avevo oltrepassato la linea del decoro. Corrosa dal rimorso, chiusi i pugni e con gli occhi percorsi la sua figura da cima a fondo, cercando di imprimermi nella memoria la sensazione delle sue labbra sulla pelle. Mi sorrise timidamente. Basta. Lo colpii sulla mascella con un solo pugno. Stramazzò al suolo e rimase svenuto a terra. Mi chinai a raccoglierlo tra le braccia, caricandomi il suo zaino in spalla. Colsi l’odore dei prati verdi e degli alberi baciati dalla rugiada che mi circondavano, mentre lo strano malessere che avvolgeva il mio corpo non mi dava tregua, un promemoria fisico del tradimento che avevo commesso. Le ombre del crepuscolo si allargarono in alto sulla montagna e prima del tramonto avevo già trasportato il ragazzo a valle. Un pick-up solitario e sgangherato era parcheggiato vicino al ruscello dalle acque increspate che segnava i confini del sito sacro. Cartelli neri con la scritta arancione correvano lungo le sponde del canale, vietato passare, proprietà privata. La Ford Ranger non era chiusa a chiave. Spalancai con forza la portiera, quasi staccandola dalla carrozzeria arrugginita. Adagiai il corpo esanime del ragazzo sul sedile del guidatore. La sua testa ricadde in avanti rivelando le linee semplici ed essenziali di un tatuaggio sul retro del collo: una croce scura e dalla forma singolare. Trasgressore e fanatico di moda. Per fortuna ho trovato qualcosa di negativo in lui. Gettai lo zaino sul sedile del passeggero e richiusi la portiera, facendo scricchiolare l’abitacolo. Ancora tremante per la frustrazione, mi trasformai in lupo e mi lanciai verso la foresta a tutta velocità. Avevo appiccicato addosso il profumo del ragazzo, e quell’aroma annebbiava la mia capacità di discernimento. Annusai l’aria e rabbrividii: un nuovo odore trasformò l’ansia per il mio tradimento in puro sollievo. «So che sei qui» ringhiai mentre elaboravo il pensiero. «Stai bene?» La domanda lamentosa di Bryn fece solo aumentare la morsa della paura nei miei muscoli tremanti. Un secondo dopo, lei era già al mio fianco. «Ti avevo detto di andartene.» Le mostrai i canini ma non potei fare a meno di gioire per la sua presenza. «Non ti avrei mai abbandonato.» Bryn mantenne il mio passo senza sforzo. «E sai che non ti tradirò mai.» Accelerai il passo, sfrecciando attraverso le ombre scure della foresta. Rinunciai a controllare la paura, mutai forma e mi precipitai in avanti fino a quando incontrai la solida consistenza di un tronco. Il contatto della corteccia ruvida contro la pelle non riuscì a calmare i miei pensieri agitati che, come uno sciame di moscerini, mi brulicavano in testa. «Perché l’hai salvato?» mi domandò Bryn. «Gli esseri umani non significano nulla per noi.» Mantenni le braccia attorno all’albero ma girai leggermente la testa per vedere Bryn che aveva ripreso il suo aspetto asciutto e minuto da ragazza, e teneva le mani appoggiate ai fianchi. Strizzò gli occhi in attesa di una risposta. Sbattei inutilmente le palpebre per frenare l’emozione bruciante che m’invadeva: lacrime calde e inaspettate solcarono le mie guance. Lei sgranò gli occhi. Io non piangevo mai, o almeno non davanti agli altri. Voltai la faccia, ma percepii lo sguardo di Bryn, che mi osservava in silenzio, senza giudicarmi. Non avevo risposte per lei. Né tantomeno per me stessa.

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